Home NOTIZIE ATTUALITÀ La “direttiva case green”: mission impossible o opportunità? (VIDEO)

La “direttiva case green”: mission impossible o opportunità? (VIDEO)

Un intento nobile, ma di difficile realizzazione. Paesi come l’Italia, prima di adattare gli edifici privati a case green, dovrebbero adattare il patrimonio dello Stato per poter iniziare nell’opera di conversione

“L’efficienza energetica al primo posto per salvare il Pianeta”. Partendo da questo principio, a poco più di due mesi dalle elezioni europee di giugno, il Parlamento europeo ha dato il via libera ad uno dei più contestati punti del Green Deal, ossia la direttiva sulle performance energetiche degli edifici, meglio conosciuta come “direttiva case green”.

Una misura molto discussa e nobile nell’intento che è stata approvata con 370 voti favorevoli, 199 contrari e 46 astenuti e che richiede, a partire dal 2030, che tutti gli edifici privati di nuova costruzione dovranno essere a zero emissioni; il 2028, invece, sarà la scadenza per gli edifici pubblici. Quelli residenziali, invece, dovranno ridurre il loro consumo energetico medio del 16% entro il 2030, e del 20-22% entro il 2035.

Intento nobile, si diceva, ma diverso è mettere in pratica una direttiva europea lì dove ci sono Paesi come l’Italia che, ancor prima di adattare gli edifici privati, dovrebbero adattare il patrimonio dello Stato per poter iniziare nell’opera di conversione.

La Energy performance of building directive ha richiesto più di un anno di trattative per far sì che la Plenaria chiudesse il percorso del provvedimento e ora che il Parlamento l’ha approvata, il tutto porta con sé varie domande. Ce la faremo a raggiungere l’obiettivo e chi pagherà gli oltre 150 miliardi di investimenti previsti ogni anno per i prossimi anni? E ancora i nostri centri storici e i nostri borghi antichi come cambieranno il loro volto? Ora ci si trova di fronte ad una grande sfida.

Per alcuni una mission impossible, per altri un’opportunità. Secondo la Società Italiana di Medicina Ambientale (SIMA), ogni iniziativa sostenibile deve essere economicamente sostenibile e socialmente accettabile. E in questo caso non lo è.

«Le nuove indicazioni per le case green vanno ben ponderate, almeno per quanto riguarda il nostro Paese – ha detto ai microfoni di Radio Roma Prisco Piscitelli, Vice Presidente Sima – Certo, dobbiamo tener presente che l’Europa conta solo per il 7 % delle emissioni totali a livello globale e questo tipo di provvedimento consentirebbe di ridurre del 36-37 %, rispetto a quel 7 %, le nostre emissioni. Quindi, a fronte di investimenti di 300-400 miliardi, bisognerebbe pensare a investimenti importanti o all’utilizzo di parte dei fondi del PNRR per degli investimenti strutturali, mentre invece la quota che andrebbe sicuramente a incidere di più è quella della produzione minore di polveri sottili legate all’efficientamento energetico dei nostri riscaldamenti domestici.»

Per cui si va sempre più verso una domanda che in molti si pongono, ossia cosa si dovrebbe fare di fronte a questa direttiva? «C’è da fare un ragionamento di vantaggi e svantaggi costo benefici e soprattutto non è possibile mettere direttamente sulle spalle dei cittadini questo tipo di investimenti strutturali che vanno a beneficio sicuramente dell’ambiente, ma in maniera contenuta rispetto all’impatto globale. Bisogna vedere anche quello che fanno gli altri.»

Case green, riusciremo a rispettare i termini?

«Da un lato riteniamo che le case green offrano una serie di opportunità e dall’altro però le consideriamo una patrimoniale per gli italiani – racconta a Radio Roma Alessandro Miani, Presidente di SIMA -. Questa è una direttiva per la quale difficilmente riusciremo a rispettare i termini. Di fatto già oggi sta facendo perdere valore agli immobili di vecchia data a favore di prezzi più alti di quelli di nuova generazione e nuova costruzione in classe energetica A oppure A+.»

È importante riflettere su un aspetto che ha evidenziato il presidente di SIMA, ossia che «ogni iniziativa sostenibile deve essere economicamente sostenibile e socialmente accettabile. Questa della normativa “case green” tecnicamente non lo è.» Questo perché? «Perché costerà centinaia di miliardi che lo Stato italiano non può mettere a disposizione. L’Europa ha messo a disposizione la metà dell’importo complessivo per tutta l’Unione europea, che è la metà di quello che costerà alla sola Italia. Nei fatti è una tassa importante sui cittadini, senza considerare che lo Stato dovrà anch’esso adeguare il suo patrimonio immobiliare entro il 2028 e mancano le materie prime e la forza lavoro

In sostanza, prosegue il presidente Miani, «manca una filiera che in Italia non c’è e saremo costretti ad andare ad acquisire le materie prime e i materiali in quei Paesi che oggi sono i principali fautori di inquinamento e anche di gas climalteranti, come la Cina.»

Parlando di riduzione dell’emissione non solo di gas climalteranti, ma anche di inquinanti atmosferici, a livello locale l’incidenza delle case in ottica green potrebbe essere un’incidenza positiva. Questo perché «se nelle grandi metropoli, come Milano e come Roma, tutte le case dei privati e i pubblici edifici, tranne quelli storici o le case di campagna, dovessero diventare green secondo la normativa europea, questo andrebbe a ridurre in maniera importante l’emissione non solo dei gas climalteranti, ma degli inquinanti atmosferici. Quindi si avrebbe un netto miglioramento della qualità della vita e della salute dei cittadini

C’è un paradosso che non può passare inosservato: nella società attuale, «uno Stato o una popolazione che deve spendere questi denari, poi non riesce ad accedere agilmente alla sanità privata, visto che la pubblica non garantisce tempi certi per cure e per diagnosi strumentali.»

«Quindi – conclude il presidente Alessandro Miani – la nostra versione e visione complessiva è da un lato positivo, perché è un’iniziativa sicuramente importante e utile, però tecnicamente è difficilmente realizzabile. I costi andranno principalmente sulle famiglie aumentando ulteriormente il divario sociale che c’è in Italia e, probabilmente, non solo in Italia.»