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Sanità, mancano i medici: pronto soccorso a rischio?

La sanità pubblica italiana rischia di andare in tilt. Al taglio progressivo dei posti letto, negli ultimi anni si sono aggiunte le carenze di organico che minano ulteriormente l’operatività degli ospedali. Le previsioni sull’inserimento di nuove figure professionali, però, sono preoccupanti: secondo uno studio, il trend non si invertirà neanche nei prossimi anni e a repentaglio rischiano di esserci anche i reparti di pronto soccorso che oggi hanno un ruolo sempre più strategico nell’attività delle strutture sanitarie.

Anche perché c’è una premessa necessaria per contestualizzare la fuga dei camici bianchi e delle altre figure professionali e riguarda il percorso di trasformazione attraversato dal sistema sanitario nazionale negli ultimi anni: 111 ospedali chiusi, 38.684 posti letto persi, 29.284 professionisti in meno nel Ssn, 282,8 milioni di prestazioni non erogate sul territorio e 2,8 milioni di ricoveri ospedalieri in meno sono, secondo i dati Cimo-Fesmed, lo scenario che ha favorito il progressivo indebolimento di un comparto che, salvo le inevitabili eccezioni, era comunque in grado di garantire livelli accettabili di prestazioni e che ora, invece, rischia di incepparsi.

Proprio queste carenze strutturali hanno portato ad affollare sempre più i reparti di pronto soccorso, che per definizione sono la vera trincea di ogni polo ospedaliero: un luogo sempre operativo a qualunque ora del giorno e della notte, per le emergenze ma anche per dare risposte ai cittadini che in assenza del proprio medico di base si trovano obbligati a rivolgersi all’ospedale. E, allora, cosa accadrebbe se anche le prime linee non fossero più in grado di offrire una risposta adeguata alle richieste di assistenza dei cittadini? Per la Società Italiana di Medicina di Emergenza e Urgenza, che da anni denuncia il progressivo indebolimento del comparto, la continua perdita di professionalità farebbe inevitabilmente scomparire l’assistenza specialistica che pure è fondamentale per un efficace intervento medico: entro i prossimi cinque anni in ospedale ci potrebbe essere la disponibilità di un solo specialista ogni 125mila abitanti.

E mentre le università e le scuole di specializzazione sfornano ancora pochi laureati rispetto al reale fabbisogno (anche perché spesso i giovani medici che non rinunciano a laurearsi, poi quando hanno l’abilitazione preferiscono comunque non iniziare a lavorare in pronto soccorso), cresce il numero di chi lascia il reparto: dice l’Osservatorio Nazionale permanente di Simeu che negli ultimi mesi hanno gettato la spugna 1.033 camici bianchi mentre mancano all’appello oltre 4mila dirigenti medici, pari al 40% del fabbisogno nazionale. Il gap con i nuovi ingressi in corsia è incontrovertibile: sono oltre 6mila le borse di studio andate perdute e il 76% dei posti di specialità per la Medicina d’emergenza-urgenza resteranno non assegnati.

Ma la questione non sembra interessare la politica che, come spesso capita, ragione con un orizzonte a brevissimo termine. Lo conferma anche il recente dibattito sui tagli alle pensioni previsti dalla nuova manovra di bilancio e che dovrebbero portare allo sciopero della categoria del prossimo 5 dicembre: per settimane si è discusso animatamente dei pochi fondi previsti in legge di bilancio per la sanità e delle nuove regole che penalizzeranno le pensioni dei camici bianchi, mentre non c’è alcun accenno agli scenari che rischiano di aprirsi nei prossimi anni per l’assenza di medici già formati per entrare in servizio quando i reparti inizieranno ad essere sguarniti. Sinora molte aziende sanitarie hanno preferito ricorrere ai cosiddetti medici a gettone: professionisti a chiamata che vengono forniti all’ospedale in difficoltà di organico attraverso la mediazione di una società privata, generalmente una cooperativa, che seleziona in autonomia il personale garantendo per la competenza.

A questi temi così complessi è dedicata la puntata di Extra di giovedì 16 novembre: ospite di Claudio Micalizio interviene in collegamento Andrea Fabbri, dell’ufficio di presidenza di Simeu
e direttore dell’Osservatorio,