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Intervista a Vittorio Polacco, superstite del rastrellamento del ghetto di Roma

Di Giacomo Chiuchiolo

1.200 ebrei: uomini, donne, anziani, malati e anche bambini. 1200 persone, di cui 200 bambini, il 16 ottobre del 1943, 80 anni fa, sono stati portati ad Auschwitz. Presi, casa per casa, dai nazisti. Caricati sui camion disposti in ogni angolo del ghetto ebraico di Roma e diretti a Tiburtina, prima dell’arrivo nei campi di concentramento.

Di quei 1200 ebrei rastrellati 80 anni fa, solo in 16 tornarono vivi: 15 uomini e una donna. Dei circa 200 bambini presi, nessuno è tornato.

Vittorio Polacco, il bambino scampato all’inferno

vittorio polacco

Poteva essere uno di loro anche Vittorio Polacco, oggi 83 anni. Quel giorno salvato dall’orrore da uno zio interprete e da una portinaia coraggiosa, che lo ha strappato al camion diretto ad Auschwitz: “Mi sono salvato perché stavo sul camion, e la portinaia del palazzo dove abitavo ha visto che ero lì, insieme ai nonni paterni – dice a Radio Roma Vittorio Polacco. – Era rimasto un solo tedesco di guardia: è sceso per andarsi ad accendere la sigaretta. Pioviccicava quel giorno, e allora non c’erano gli accendini, ma i prosperi. Quindi ci ha messo del tempo. In quel momento mio zio mi ha dato in braccio alla portinaia che mi ha portato lontano. Mi sono salvato grazie a loro”.

Su quel camion c’erano altri due bambini, Emanuele Di Porto e Mario Mieli, anche loro salvati dall’inferno un attimo prima della discesa: “Emanuele è stato salvato dalla madre che lo ha buttato fuori dal camion. Lui ha corso per qualche metro, poi si è infilato in un tram. In quel momento è arrivato il tramviere a cui ha spiegato che i tedeschi stavano prendendo tutti. L’uomo gli ha permesso di rimanere nascosto, gli portava del cibo, ed Emanuele è rimasto sul tram per qualche giorno prima di riabbracciare il padre”.

Oltre a loro, non ci sono più superstiti di quel giorno di 80 anni fa: “No nessuno – dice a Radio Roma Vittorio Polacco -. Molti raccontano la storia degli altri, ma in pochi ormai possono raccontare la propria. Un conto è raccontare la propria storia, un altro quello che è stato raccontato. E’ quello che spiego sempre ai ragazzi”.