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Julian Assange è un eroe o un criminale? Il papà di Wikileaks non va abbandonato – Extra – Mercoledì 27 marzo 2024

Il destino di Julian Assange è appeso ad un filo, lungo ancora poche settimane: la speranza di non essere estradato oltreoceano per il giornalista e attivista australiano di 52 anni, detenuto da 5 anni nella prigione di massima sicurezza di Belmarsh a Londra e inseguito dagli Stati Uniti per aver diffuso documenti riservati del Pentagono e del Dipartimento di Stato, è stata lasciata a metà dall’27.

Questo tribunale rappresenta l’ultima possibilità per lui di evitare la consegna agli Stati Uniti, dove rischia una lunga condanna per le sue azioni (175 anni di carcere) e secondo qualcuno, addirittura, la sua incolumità. Poche ore fa la Corte ha deciso di ammettere un estremo appello presentato dalla sua difesa, fissando una nuova udienza per il 20 maggio. Tuttavia, i giudici hanno condizionato questa decisione alla possibilità che gli Stati Uniti fornissero garanzie più concrete sul trattamento che Assange riceverebbe, incluso l’impegno a non condannarlo a morte e il rispetto del suo diritto alla libertà di espressione. Se tali garanzie non saranno sufficienti, l’estradizione potrebbe procedere.

Nonostante le speranze di un possibile negoziato che porterebbe alla sua liberazione, la moglie di Assange esprime preoccupazione per il futuro del marito, sottolineando le gravi minacce ai suoi diritti fondamentali e la sua persecuzione come prigioniero politico e giornalista. Ma del suo caso si parla poco e anche la politica sembra essere poco sensibile, molto meno – giusto per fare un esempio – di quanto è accaduto negli ultimi anni per Alexei Navalny, il dissidente russo principale oppositore di Vladimir Putin morto recentemente nel carcere dove era stato recluso per scontare una condanna a 19 anni di detenzione per il reato di “estremismo”.

Anche Assange viene considerato una minaccia per gli Stati Uniti e le autorità americane non vedono di buon occhio la sua battaglia per la trasparenza portata avanti con il suo team investigativo su Wikileak. Il giornalista deve rispondere di aver pubblicato circa 700mila documenti riservati del governo statunitense a partire dal 2010: è sotto accusa per aver commesso 18 reati e rischia una condanna fino a 175 anni di carcere per la divulgazione di file riservati, inclusa la denuncia di abusi da parte delle forze armate americane in Iraq e Afghanistan. Tutte le accuse contro di lui riguardano la presunta violazione del National Espionage Act, una legge sullo spionaggio degli Stati Uniti che risale al 1917: probabilmente è azzardato paragonare la sua vicenda a quella di Navalny, ma sono in molti a temere che in caso di un’estradizione oltreoceano potrebbe rischiare la vita.

Di fondo a queste vicende giudiziarie, poi, c’è una questione tutt’altro che secondaria e riguarda il diritto della stampa di poter informare i cittadini e valori importanti come la tutela delle libertà individuali e dei principi democratici: perché Julian Assange non riceve più attenzione mediatica?

Nel 2010, cinque dei principali giornali del mondo collaborarono alla pubblicazione simultanea di migliaia di documenti riservati riguardanti le guerre statunitensi in Iraq e Afghanistan. Questa divulgazione, che evidenziava atti terribili, fu ottenuta attraverso Wikileaks, l’organizzazione che si occupava di pubblicare documenti segreti per rivelare corruzione e abusi. Wikileaks ha continuato la sua attività fin dal 2006, accumulando circa 10 milioni di file nel tempo, ma ora suscita meno interesse.

Nel 2010, Wikileaks era vista da molti come un nuovo avamposto del giornalismo investigativo e, per alcuni, della democrazia, con il suo fondatore, Julian Assange, che era diventato una sorta di icona. Tuttavia, nel corso degli anni, molte persone hanno cambiato opinione su Wikileaks, in particolare riguardo al suo ruolo nelle elezioni presidenziali statunitensi del 2016 e alle sue relazioni con la Russia.

Il processo attuale è stato definito da alcuni come “il processo del secolo”, poiché solleva questioni cruciali sulla libertà di stampa e di espressione. Tuttavia, il processo è poco discusso nei media anche perché molti osservatori non sono stati ammessi in aula. Ciò solleva interrogativi su quali siano i limiti della libertà di informazione e su chi abbia il potere di controllare la narrazione.

Anche se Assange ha commesso errori nel corso degli anni, il dibattito in tribunale riguarda questioni più ampie riguardanti la libertà di stampa e l’accesso alle informazioni. È quindi importante discutere di questo caso e delle sue implicazioni per il giornalismo e la democrazia.

Una vicenda sulla quale bisogna tenere accesa l’attenzione dell’opinione pubblica: in questa puntata di Extra, Claudio Micalizio ospita Riccardo Noury, portavoce italiano di Amnesty Internation che è una delle poche organizzazioni non governative che da sempre si mobilità per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla necessità di garantire anche per Assange il rispetto dei diritti umani e la certezza di un processo rispettoso delle regole.