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Roma, maxi sequestro beni per 1,8 milioni a gruppo criminale rom

Roma, maxi sequestro beni per 1,8 milioni a gruppo criminale rom

Supercar e immobili di lusso come la villa dove era stata allestita la camera ardente per la salma di Nicholas Orsus Brischetto il giovane morto nel 2022 in un incidente sul Gra di Roma. Sono alcuni dei beni sequestrati ad un’organizzazione criminale a base parentale, di etnia rom. Un maxi sequestro da 1,8 milioni eseguito oggi giovedì 21 marzo da Polizia di Stato e la Guardia di Finanza nell’ambito dell’operazione “Gialla e Nera”, nomi in codice utilizzati dai criminali per truffe informatiche.

Roma, maxi sequestro beni per 1,8 milioni a gruppo criminale rom

Questa mattina la Polizia di Stato e la Guardia di Finanza hanno eseguito, a Roma e provincia, un provvedimento di sequestro finalizzato alla confisca emesso, ai sensi della normativa antimafia, dal Tribunale di Roma – Sezione delle Misure di Prevenzione-, su proposta formulata congiuntamente dal Procuratore della Repubblica di Roma e dal Questore di Roma.

Furti, rapine e riciclaggio

Furti e rapine in casa in diverse parti d’Italia, truffe agli anziani e riciclaggio di veicoli di lusso. Sono alcuni dei reati che avrebbero commesso esponenti dell’organizzazione criminale. Il sequestro comprende quote sociali di 2 compagini e di un’impresa individuale con relativi complessi aziendali nel commercio di veicoli e bar, nonché di 4 immobili tra cui una villa di notevoli dimensioni a Tivoli. Sequestrate anche polizze di pegno, disponibilità finanziarie e 6 auto di lusso, tra cui una Porsche Cayenne, una Mercedes AMG A45 S ed una Lamborghini Gallardo. Per un totale di 1,8 milioni di euro di beni sequestrati.

Obbligava italiani a riconoscere la paternità

Secondo quanto ricostruito nelle indagini due persone coinvolte pur essendo certamente fratelli hanno cognomi differenti. Una stranezza che si spiega tornando indietro nel tempo. Il padre infatti fin dagli anni ’70 avrebbe obbligato cittadini italiani a riconoscere la paternità dei figli dei componenti della banda, nati da coppie dell’ex Jugoslavia per dare ai bambini la nazionalità italiana. In modo tale che le madri naturali potessero richiedere i permessi di soggiorno per i ricongiungimenti familiari.

I soggetti, rimasti illegalmente nel territorio italiano, grazie a documenti che ne attestavano falsamente la cittadinanza, si sono stabiliti prima nel basso Lazio e, successivamente, si sono insediati nella Capitale suddividendosi gli affari illeciti con un altro clan sinti.

Documenti falsi per le trasferte criminali su auto a noleggio

L’attività criminale del gruppo spaziava da furti e rapine in tutta Italia alla fabbricazione di documenti falsi per circolare liberamente in Europa. E ancora riciclaggio e ricettazione di automobili di grossa cilindrata, provenienti dall’Italia e rivendute in vari Paesi europei e in Arabia. Le indagini hanno evidenziato, che per furti, truffe e rapine in appartamenti, venivano organizzate trasferte soprattutto verso piccoli centri abitati della Calabria, della Basilicata e della Sicilia con auto noleggiate con documenti falsi.

I colpi in casa degli anziani

Proprio nei paesini del meridione, i colpi in casa di persone anziane. Sarebbero state soprattutto le donne del gruppo, ad entrare nelle abitazioni dove avrebbero approfittato della momentanea distrazione delle vittime, con scuse e stratagemmi di varia natura: capitava quasi sempre che una in stato di gravidanza fingeva di aver bisogno di utilizzare il bagno.

A questo punto, mentre alcune malviventi accerchiavano la vittima, altri complici entravano all’interno dell’appartamento per sottrarre oggetti preziosi, denaro, carte bancomat, carte di prelievo dei libretti postali, con i relativi Pin. Per poi effettuare i prelievi allo sportello bancomat più vicino.

Truffe informatiche

C’erano poi le truffe informatiche. Secondo quanto ricostruito le vittime, dopo aver pubblicato annunci di articoli in vendita su piattaforme online, venivano contattate da finti acquirenti, che proponevano, come modalità di pagamento, il cosiddetto prelievo S.O.S. (Servizio che in una situazione di emergenza permette ai correntisti di autorizzare soggetti terzi al prelievo di contante presso gli ATM).

Le convincevano a recarsi presso ATM di alcuni Istituti di credito per ricevere l’accredito della somma pattuita. Una volta inserita la propria carta i malcapitati venivano istruiti telefonicamente a compiere alcune procedure, a seguito delle quali, anzichè ricevere denaro, ricaricavano inconsapevolmente le carte Postepay dei malviventi.

Dalle indagini è emerso che il gruppo si avvaleva di numerosissimi intestatari fittizi per le utenze telefoniche e per le carte postepay, nonché di una schiera di giovani soggetti incaricati dei successivi prelievi presso gli sportelli bancomat. I gregari venivano letteralmente “telecomandati”, ricevendo via chat indicazioni e screenshot delle carte da utilizzare che, in linguaggio convenzionale, venivano indicate con i nomi “Gialla” e “Nera”. E naturalmente anche il numero pin da associare e delle somme da prelevare. Un meccanismo che veniva ripetuto anche nell’arco di poche ore e presso diversi sportelli ha consentito di movimentare volumi finanziari significativi.

Proventi, che sulla base delle indagini, che hanno abbracciato l’arco temporale di oltre un ventennio, sarebbero stati reinvestiti, in parte, in attività di rivendita di veicoli e bar a Roma e, in parte, nell’acquisizione di proprietà mobiliari, immobiliari e in polizze di pegno.