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“Qui nun se more mai”, chiude la storica trattoria della Capitale

«I nostri sacrifici ci sono, questa qui è stata una batosta, c'è tanto dispiacere ma purtroppo non c'è niente da fare»

Foto dalla pagina Facebook di "Qui nun se more mai "

La trattoria storica di Roma “Qui nun se more mai” sta per chiudere. Alba e Alessandro sono sposati da 58 anni e da 40 invece lavorano insieme. A questa trattoria sono stati dedicati dei sonetti da scrittori, è sfondo di varie leggende popolari romane. «È nata come una famiglia allargata, tutti ci vogliono bene e noi vogliamo bene a tutti. Siamo moglie, marito e due ragazzi che sono cresciuti qua dentro, la loro storia è questa, la loro vita è questa. I nostri sacrifici ci sono, questa qui è stata una batosta, c’è tanto dispiacere ma purtroppo non c’è niente da fare», raccontano. «Curzio Malaparte le ha dedicato due sonetti e Christian De Sica viene sempre, gli piacciono le fettuccine fatte in casa». A parlare è Erminio, il figlio di Alessandro e Alba e oggi gestore del locale il locale insieme ai genitori e una decina di dipendenti. «Una volta qui c’era la posta dei cavalli che arrivavano a Roma, con cibo e bevande e si fermavano qua a pagare il dazio, stiamo parlando del 1800». A 10 anni la mamma e il papà hanno comprato quel locale e oggi, a 52 anni, racconta questa triste realtà. «Vivo qui dentro da quando ero piccolo e ora vendono tutto lo stabile. Ho sempre pagato tutto, ma m’hanno voluto cacciare via, non so nemmeno il motivo», racconta.

Sui social l’assessore al Commercio di Roma e cliente della trattoria, Monica Lucarelli, ha scritto un messaggio commovente:  «Sposati da 58 anni, mano nella mano lavorando fianco a fianco in questa splendida trattoria romana. Esperienza, passione, amore per il proprio lavoro, fantastici ravioli fatti con queste mani», ha scritto Lucarelli. «La cicoria raccolta al campo, le patate che arrivano da Viterbo per fare gli gnocchi e quelle di Avezzano per la brace. Un luogo così non può e non deve chiudere. Gli occhi lucidi dei clienti da sempre che vengono anche solo per un saluto. Il mio impegno c’è perché è inutile parlare di valorizzazione delle nostre eccellenze se come istituzioni non riusciamo a supportare famiglie che hanno costruito il proprio futuro con il lavoro quotidiano».