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Questo giovane era detto l'”Angelo di Roma”: la storia di Moreschi, ultimo dei “castrati”

Le cronache dell’epoca lo ribattezzarono l'”Angelo di Roma” ma, più brutalmente, è passato alla storia come l'”ultimo castrato”: Alessandro Moreschi è nato l’11 novembre 1858 ed ancora oggi il suo talento viene celebrato come una delle più prodigiose voci bianche che la musica italiana abbia avuto modo di celebrare nei secoli. Un personaggio noto tra gli appassionati del bel canto che davvero ha lasciato il segno in una disciplina difficile e piena di sacrifici.

Un talento coltivato con passione e grandi sacrifici
Originario di Montecompatri, località alle porte di Roma, Alessandro scoprì molto giovane il suo talento anche se dagli annali poco si conosce della sua formazione: quel che pare assodato, però, è che le sue qualità vocali vennero notate da padre Nazareno Rosati, membro del coro della cappella Sistina costantemente in giro per l’Italia in cerca di giovani talenti: sarebbe stato lui a sentirlo cantare proprio nella chiesa del paese. E così, appena tredicenne, il giovane nel 1871 fu ammesso alla capitolina “Schola cantorum di S. Salvatore in Lauro” dove si rivelò un allievo così brillante da essere nominato, in appena due anni, primo soprano della basilica di San Giovanni in Laterano. Per lui quella fu la prima tappa di una carriera ricca di successi ma anche di sacrifici personali: oltre alle conseguenze della castrazione subita durante la pubertà per esaltare ancora di più la sua predisposizione canora (la tradizione delle voci bianche risale all’XVII secolo, quando venne introdotta per “creare” cantanti che potessero, in chiesa, cantare al posto delle donne ma con una potenza canora tipicamente maschile), Rosati perfezionò con grande impegno lo studio della musica e del canto. Scrivevano gli esperti dell’epoca: “Egli emetteva, nella sua immobilità e serenità, una voce flautata, leggera, spontanea, immune da sforzo e lenocinio, come sospinta dal sentimento fatto suono», come ebbe a dire il celebre tenore Lauri Volpi oppure, per dirla come la moglie dell’ambasciatore danese a Roma Lillie Grenough, l’artista era in grado di emettere «note che hanno un che di sovrannaturale».

Successo in Vaticano e una carriera “mondana”
Consapevole del talento ricevuto in dono, Alessandro Moreschi seppe diversificare brillantemente le platee davanti alle quali esibirsi: se il successo e gli prestigio gli vennero dagli incarichi sempre più prestigiosi presso il Vaticano, la sua voce bianca divenne richiestissima in tutti i salotti dove il cantante lirico si esibiva proponendo un repertorio profano che gli valse molti problemi con le autorità ecclesiastiche ma che inevitabilmente ne consacrò la fama anche fuori dagli ambienti religiosi. Il 9 agosto 1900 Moreschi cantò alla cerimonia funebre in suffragio di Umberto I, assassinato a Monza il 9 agosto: su richiesta della famiglia Reale e sotto la direzione di Pietro Mascagni, l’angelo di Roma si esibì al Pantheon in un trionfo di folla e di critica. Per lui fu la consacrazione: quando nel 1913 e ritirò dalle scena, l’artista stava iniziando a perdere la voce ma potè comunque iniziare a dare lezioni di canto a nuovi talenti.