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“La rosa non ci ama” in scena a Roma: l’autore Roberto Russo a Non solo Roma

“La rosa non ci ama”,  in scena al “Teatro Lo Spazio” dal 22 al 25 febbraio

Ospite in collegamento Roberto Russo, autore de “La rosa non ci ama”

In una piazza notturna, dove fanno da sfondo le mura della Basilica di San Domenico Maggiore circondata da silenziosi palazzi cinquecenteschi, emergono le ombre di due personaggi: un uomo e una donna. Vestiti di cenci, potrebbero essere due clochards o vagabondi casuali senza tempo.

Siamo nella città di Napoli, in un’epoca non definita, davanti al palazzo che appartenne al Principe Carlo Gesualdo da Venosa e dove, nella notte tra il 16 e il 17 ottobre del 1590, lo stesso Principe infierì con efferata violenza sul corpo di sua moglie Maria D’Avalos e dell’amante di lei Fabrizio Carafa, Duca D’Andria. Questa la cronaca di uno dei più famosi delitti passionali.

Durante l’azione scenica l’identità dei due personaggi gradualmente si svela. Lui, uomo sensibile e geniale inventore dei colori della musica, raffinato madrigalista e stimato ispiratore dei tempi a venire. Lei, bellissima donna passionale e vitale. Tuttavia, entrambi vittime dei loro ruoli e del loro tempo. La Rosa, simbolo d’amore di tutte le epoche, attrae e affascina con la seduzione del suo profumo e la bellezza dei suoi colori, ma può anche uccidere con la sola punta sottile di una spina.

Questo il fulcro de “La rosa non ci ama” di Roberto Russo con Cloris Brosca e Gianni De Feo (che ne cura anche la regia), in scena al Teatro Lo Spazio di Roma dal 22 al 25 febbraio.

Da una storia vera ambientata a Napoli nella metà del ‘500,  il tormentato rapporto tra il principe Carlo Gesualdo da Venosa, soprannominato “il principe compositore” e di sua moglie Maria D’Avalos, e del suo tragico epilogo. Tra musica e parola, le ombre dei due coniugi si affrontano in un’atmosfera intensa e suggestiva rivivendo le menzogne, le pressioni, le macchinazioni messe in opera da chi (prelati nobili, serventi) li circondava e fu corresponsabile dell’esito delle loro vite.

In questa messa in scena che si articola tra azione vivace e lettura a leggio, saranno proprio loro, Carlo e Maria, a evocare e a far rivivere tutte quelle figure intorno alle quali ruota la vicenda stessa. Così pure si mescoleranno le lingue, dallo spagnolo del 500 al napoletano antico fino al latino, attraverso un linguaggio forbito a tratti lirico ma al tempo stesso contemporaneo.

Alla parola farà da contrappunto l’elemento musicale che percorre quasi tutta la trama drammaturgica scavalcando anche in questo caso epoche e gusti. Inoltre, due testi di Torquato Tasso scritti espressamente per Gesualdo, ma mai messi in musica da questi, sono stati ora rielaborati con musiche originali e cantati dal vivo nello stile dei madrigali.

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