Qui il servizio realizzato per la puntata di Punto di Rottura del 30 aprile 2024.
C’è chi teme un esame universitario, chi di non realizzarsi nel lavoro e chi teme, invece, più banalmente… un pranzo con i parenti. Ci sono delle domande che, seppur molto comuni, fanno scattare in qualcuno un certo senso di fastidio e tra queste c’è la classica: “Ma quando ti sposi?”.
Sono domande di rito che, però, rivestono per alcuni un supplizio e che quindi rendono pesante un momento che dovrebbe essere leggero e di spensieratezza. E allora è proprio da quel momento che scattano le proposte di appuntamenti o idee per incontrare la persona perfetta per te. In realtà c’è un fenomeno che riguarda tantissime persone, più di quelle che ci si immagini: si chiama single shaming.
Single shaming, il risultato delle aspettative della società
Quali sono i sintomi? Stress, ansia, pressione psicologica. È come se si fosse sotto un faro puntato sulla propria persona, come in un interrogatorio che si muove tra giudizi e opinioni sulla propria vita, ma che – a dirla tutta – nessuno ha chiesto.
In realtà, queste sensazioni sono la proiezione delle aspettative della società, e quindi dei parenti stessi, che riguardano l’essere single vista come una condizione da “risolvere”. E i dati parlano chiaro. Una donna su 3 in Italia si è sentita giudicata per il fatto di essere single.
Questa realtà, portata alla luce da una ricerca di Bumble (l’app di appuntamenti pensata per le donne), traccia un’immagine ben definita: coloro che scelgono di rimanere, come si diceva in altri tempi, “signorine”, sia consapevolmente che temporalmente, sono interessate da questo fenomeno e il problema è che sembra sia un qualcosa di inevitabile perché il fattore principale che scatena questo single shaming è il peso delle aspettative culturali e di genere legate alla cosiddetta necessità della relazione.