Home SPETTACOLI EVENTI Neri Marcorè porta De André a teatro: appuntamento al Quirino di Roma

Neri Marcorè porta De André a teatro: appuntamento al Quirino di Roma

Dal 16 al 28 aprile, al teatro Quirino di Roma, Neri Marcorè porta in scena Fabrizio De André in uno spettacolo di teatro-canzone che riporta in vita ‘La Buona Novella’, l’album pubblicato dall’artista nel 1970. Lo spettacolo, con un chiaro orientamento teatrale, è costruito quasi come un’opera da camera, con partiture e testi concepiti per dare voce a numerosi personaggi: Maria, Giuseppe, Tito il ladro, il coro delle madri, un falegname, e il popolo. È da questa premessa che nasce la versione teatrale, che si esibirà sul palcoscenico.

Il teatro a Roma

Spiega il regista e drammaturgo Giorgio Gallione: “Questo spettacolo è pensato come una sorta di Sacra Rappresentazione contemporanea che alterna e intreccia le canzoni di De André con i brani narrativi tratti dai Vangeli apocrifi cui lo stesso autore si è ispirato: dal protovangelo di Giacomo al Vangelo dell’Infanzia Armeno a frammenti dello Pseudo-Matteo”.

Aggiunge: “Prosa e musica sono montati in una partitura coerente al percorso tracciato dall’autore nel disco. I brani parlati, come in un racconto arcaico, sottolineano la forza evocativa e il valore delle canzoni originali, svelandone la fonte mitica e letteraria. La valenza ‘rivoluzionaria’ della riscrittura di De André sta nella decisione di un laico di affrontare un tema così anomalo per questi tempi”.

Marcorè porta in scena De André

In un’intervista rilasciata al Teatro della Toscana, Neri Marcorè ha raccontato del suo rapporto con l’album La buona novella di De André: “Ricordo quando mia zia, molto appassionata di De André, mi regalò il vinile de La Buona Novella: avevo più o meno 13 anni e ne rimasi quasi sconcertato, era difficile per me da comprendere in tutte le sue sfaccettature. Confesso che dopo averlo ascoltato un paio di volte finì nelle retrovie perché a quel tempo non fui conquistato né dalla musica né dai testi che componevano quello che può essere considerato uno dei primi, se non addirittura il primo, concept album della discografia italiana. Forse non era l’approccio più indicato, soprattutto a quell’età, per iniziare a scalare metaforicamente quella montagna che Faber, come lo chiamava il suo amico Villaggio, rappresenta ancora oggi. Con il tempo ho cominciato ad apprezzare le sue canzoni, la musica mi è apparsa in tutto il suo fascino: all’epoca l’avevo messa in secondo piano rispetto ai dischi di altri artisti che mi sembravano più rock e vivaci. Invece, grazie al doppio live suonato con la Pfm (al primo ascolto di un pezzo mi colpisce sempre più l’arrangiamento musicale, tra armonia e melodia; solo in un secondo momento pongo attenzione al testo) mi venne naturale esplorare la sua produzione fino ad allora e continuare a seguirlo nei dischi successivi”.