Non solo effetti negativi durante il lockdown. Nei mesi trascorsi chiusi a casa per colpa della pandemia, i bambini affetti da cefalea hanno visto diminuire gli attacchi di mal di testa grazie soprattutto al calo della tensione scolastica. Lo rileva uno studio condotto su oltre 700 famiglie dall’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù in collaborazione con 9 Centri Cefalee italiani. I risultati della ricerca, appena pubblicati sulla rivista scientifica Cephalalgia, organo ufficiale dell’International Headache Society, documentano l’impatto rilevante di fattori emotivi come ansia e stress sulla frequenza e sull’intensità delle cefalee pediatriche.
La malattia
Il mal di testa, o cefalea, è molto frequente non solo negli adulti, ma anche tra i bambini, specialmente in età scolare. Ne esistono diversi tipi, con evoluzione e implicazioni terapeutiche completamente diverse. Le cefalee primarie (emicrania, cefalea tensiva, cefalea a grappolo) sono malattie neurologiche legate a una predisposizione genetica, cui è ascrivibile la maggior parte dei mal di testa accusati dal bambino, soprattutto quelli in cui gli episodi del disturbo tendono a ripetersi. Nelle cefalee secondarie il mal di testa è invece il sintomo di una malattia diversa, che deve essere identificata e curata.
Lo studio
Lo studio pubblicato su Cephalalgia è stato coordinato dal team di neuropediatri e psicologi del Centro Cefalee del Bambino Gesù in collaborazione con i Centri Cefalee dell’Università di Padova, Università dell’Aquila, Università dell’Insubria di Varese, Ospedale Sant’Andrea di Roma, Dipartimento di Neuropsichiatria Infantile di Via dei Sabelli di Roma, Istituto Besta di Milano, Ospedale San Paolo di Bari e Ospedale Civico di Palermo.
Nell’indagine sono state arruolate 707 famiglie con bambini e adolescenti tra i 5 e i 18 anni, con diagnosi di cefalea primaria (emicrania e cefalea tensiva). A genitori e figli è stato somministrato un questionario anonimo che esplorava l’andamento del mal di testa prima e durante il lockdown, le caratteristiche della malattia (frequenza e intensità degli attacchi), le terapie seguite (quali e quanti farmaci), le variazioni dell’umore, degli stili di vita e dell’attività scolastica per valutare l’impatto di questi fattori sulla cefalea.
I risultati
L’analisi dei dati ha evidenziato un significativo miglioramento del mal di testa per il 46% dei bambini e dei ragazzi, un peggioramento per il 15%, nessuna variazione di rilievo per il 39%. Nel primo gruppo la frequenza degli attacchi mensili è diminuita mediamente del 28% (da 7 a 5 episodi al mese), con cali anche del 40% tra i bambini con le forme più gravi di cefalea (da 15 a 9 attacchi mensili).
La causa principale del miglioramento è riscontrabile nella riduzione dell’ansia scolastica nel periodo di isolamento dovuto al lockdown. I ricercatori hanno infatti osservato che tanto più bassi erano i punteggi dei test sui livelli di stress, tanto maggiore era il miglioramento. Al contrario, nei ragazzi con un peggioramento della cefalea è stata riscontrata la persistenza di sentimenti di ansia scolastica nonostante il passaggio alla didattica a distanza. Pressoché ininfluente, invece, l’uso dei farmaci antiemicranici: il 14% dei ragazzi era in terapia farmacologica e non ha mostrato differenze significative nella riduzione degli attacchi rispetto a chi non assumeva farmaci.
Sul piano clinico, i risultati dello studio confermano che gli interventi sugli stili di vita, per il controllo dei livelli di ansia e stress, rivestono un ruolo fondamentale nel percorso di cura delle cefalee pediatriche. «I fattori emotivi ed emozionali andrebbero sempre considerati quando si propone un trattamento per l’emicrania e per la cefalea di tipo tensivo» sottolinea la dott.ssa Laura Papetti, neuropediatra del Bambino Gesù e primo autore dello studio. «È necessario che bambini e genitori siano consapevoli che qualsiasi intervento sui fattori di stress ha più probabilità di essere efficace rispetto ai farmaci attualmente disponibili».