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Ricordando il Generale Dalla Chiesa (video)

Il 3 settembre 1982, ore 21:15, il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, prefetto di Palermo, venne ucciso assieme a sua moglie Emanuela Setti Carraro e all’agente di scorta Domenico Russo.La mafia, in questo modo, si liberò di un grande servitore, di colui che rappresenta ancora oggi, tutti coloro che muoiono per difendere lo Stato e la legalità, indossando una divisa.

Con i suoi metodi innovativi di indagine, il Generale Dalla Chiesa, riuscì ad assestare grandi colpi sia all’organizzazione mafiosa sia alle Brigate Rosse in Piemonte, portando così allo scoperto il complesso groviglio di complicità con le istituzioni e la politica.

In occasione del quarantadue esimo anniversario della sua scomparsa, si torna a parlare del costante e imperdonabile abbandono da parte delle istituzioni, anche nei confronti delle famiglie delle vittime. Valentina Rigano, giornalista, volontaria dell’Associazione Vittime del Dovere e moglie del nipote del Capitano Mario D’Aleo assassinato da Cosa Nostra, interviene per rimarcare questa rumorosa solitudine.

Ed è proprio dalle numerose testimonianze dei diretti interessati o dalle diverse ricostruzioni, che si percepisce questo forte stato d’animo dominato dalla solitudine: anche il Capitano D’Aleo aveva denunciato questa sensazione?Io credo che in questi uomini, e parlo di uomini in divisa perchè allora le donne non c’erano, non fosse poi così manifesta. Perchè dominava un alone di silenzio, di omertà, soprattutto in politica e nella società civile. Quindi la solitudine veniva mascherata da impegno, preoccupazione. Senza entrare nel dettaglio della storia del Capitano D’Aleo, basandoci su tutto ciò che è stato reso noto, lui più volte aveva ricevuto delle minacce. Tra l’altro lui era Comandante della Compagnia di Monreale e fu ucciso a Palermo, un anno dalla morte del Generale Dalla Chiesa. Di queste minacce non ne parlò mai con nessuno. Sicuramente questa solitudine c’era…

Associazione Vittime Del Dovere: prevenzione e tutela

Emanuela Piantadosi, Presidente dell’Associazione Vittime Del Dovere, “è come se avesse raccolto tutte queste solitudini e il dolore di chi è rimasto, e lo abbia trasformato in un progetto virtuoso, con degli obiettivi ben precisi”.

Il primo obiettivo fondamentale è la prevenzione tramite “seminari, momenti di condivisione, percorsi strutturati con il Ministero dell’Istruzione all’interno delle scuole, per affrontare tematiche attuali che possano aiutare i ragazzi a capire ancora di più, la marcata differenza tra ciò che è bene e ciò che è male”. Dall’altra parte propone una grande sfida: “Avere, difronte alla legge, quando c’è una perdita dolorosa come l’assassinio di un proprio caro, oppure per la stessa persona che rappresenta Forze Armate Forze dell’Ordine e Magistratura un infortunio grave, un riconoscimento davanti allo Stato per tutti quelli che possono essere supporti successivi allo stesso modo”.

Secondo quanto emerso dalle parole della Dott.ssa Rigano, molti non sono a conoscenza del fatto che oggi, nel nostro Paese, “i familiari di chi è stato ucciso dalla Mafia, ricevono un determinato trattamento; i familiari di coloro che vengono uccisi dal ladro di mele, no. Emanuela Piantadosi è figlia di un Maresciallo di Carabinieri che è stato ucciso da un ergastolano in permesso premio quando lei aveva quattordici anni. Suo papà ha sacrificato la sua vita per proteggere una comunità che in quel momento era riunita in una festa di paese. La sua famiglia non ha ricevuto mail la stessa attenzione, la stessa cura e le stesse tutele che hanno probabilmente ricevuto i familiari di Dalla Chiesa o dai familiari dello zio di mio marito”.

Diritto alla memoria: non dimenticare la vittima

La divisa, in alcune realtà – aggiunge – è un problema. Tutto ciò rispecchia una perdita di valore del lavoro di queste persone”. L’obiettivo, in sostanza, sarebbe quello di portare soprattutto i giovani, ad apprezzare quella divisa e fargli capire che dentro quella divisa ci sono delle persone. “Persone che hanno famiglia, affetti, interessi e anche paure”.

Le forme di assistenza: un supporto psicologico inesistente

Sono previste delle assistenze per gli orfani e per le famiglie, dal punto di vista puramente economico. Dal punto di vista psicologico a lungo termine, non esiste alcuna assistenza. La solitudine vera arriva dopo. All’inizio c’è la vicinanza dello stato, dei colleghi… poi con il tempo, per tutta una serie di motivi, e non necessariamente per la cattiveria di qualcuno, l’interesse scema, ognuno torna alle proprie vite, al proprio lavoro, e queste famiglie rimangono sole. Se non ci fossero associazioni come le Vittime del Dovere, vedremmo drammi intensi con tutta una serie di conseguenze molto più numerose”.

La nostra associazione oggi conta più di 500 famiglie. Il nostro obiettivo è arrivare a 0

Emanuela Piantadosi e Valentina Rigano

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