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Lavoro, nel Lazio disponibili 350mila posti: riusciremo a trovare i lavoratori? – Extra – 18 aprile 2024

Come si combatte la disoccupazione o, per essere più espliciti, come si creano posti di lavoro? Domanda banale ma dalla risposta tutt’altro che semplice tanto che nessuno ormai ha il coraggio di porla a politici ed economisti.

Ma uno dei nodi più importanti da sciogliere per il rilancio economico è proprio questo perché tra i fattori che influenzano un paese come l’Italia, che deve gran parte del suo prodotto interno lordo ai consumi dei suoi cittadini, c’è proprio l’andamento del mercato occupazionale. Nel nostro paese invece si assiste da anni ad un paradosso che nessun governo è mai riuscito a disinnescare: mentre cronicamente si contano quasi tre milioni di disoccupati, le aziende ogni anno lamentano di non riuscire a trovare abbastanza lavoratori soprattutto per le figure più preparate.

L’ultima indagine pochi giorni fa ha offerto un ulteriore spunto di riflessione relativo proprio al nostro territorio: nei prossimi anni le imprese economiche che operano nel Lazio avranno necessità di assumere oltre 350mila lavoratori da impiegare in settori diversi. La notizia di per sè è rincuorante ma getta nello sconforto se guardiamo i dati statistici: premesso che in teoria le assunzioni dovrebbero passare attraverso la rete pubblica degli ex uffici di collocamento, oggi solo il 2% di chi trova un posto di lavoro può ringraziare gli sportelli pubblici. Da noi si va avanti con conoscenze, segnalazioni e talvolta vere e proprie raccomandazioni: il fenomeno non deve scandalizzare perché pare sia l’unico metodo davvero efficace per garantire in tempi rapidi un inserimento lavorativo a prescindere dal livello della posizione vacante.

Ma allora come si creano posti di lavoro? Gli economisti mettono le mani avanti: non c’è una strategia univoca. Per mettere in moto l’occupazione, un paese deve puntare su virtuose politiche economiche attive che vanno dagli investimenti pubblici in infrastrutture, all’agevolazione fiscale per le imprese e la promozione dell’innovazione e dell’imprenditorialità. Poi certo bisogna agire a monte, sul fronte della formazione e dell’istruzione: investire in questi ambiti professionali è utile per aumentare le competenze dei lavoratori e renderli più adatti alle esigenze del mercato del lavoro. Se poi questa attività venisse supportata dagli studi che permettono di definire con qualche anno di anticipo le figure professionali emergenti o destinate ad essere molto richieste in un arco temporale di qualche anno, probabilmente sarebbe anche più facile di sfornare dalle scuole superiori o dalle università eserciti di disoccupati.

Certo non bisogna dimenticare che l’Italia è uno dei paese con i più alti costi del lavoro: offrire incentivi fiscali o finanziari alle imprese che assumono lavoratori può incentivare la creazione di nuovi posti, mentre l’introduzione di regolamentazioni flessibili del mercato – come per esempio contratti di lavoro più flessibili o riduzioni dell’onere fiscale per le imprese che assumono lavoratori a tempo pieno – possono ulteriormente incoraggiare le assunzioni. Programmi di lavoro pubblico. Sin qui le misure riguardano soprattutto il settore privato ma anche lo Stato può fare la sua parte, persino in una nazione con oltre 3milioni di dipendenti pubblici:  e allora ecco che creare opportunità di lavoro nel settore pubblico per coloro che lottano per trovare occupazione nel settore privato può essere una misura temporanea per ridurre la disoccupazione.

Non mancano anche sussidi e incentivi, argomenti tabù in Italia (basti pensare alle recenti polemiche sul reddito di cittadinanza) ma praticati in buona parte del mondo. E’ il caso dei cosiddetti “programmi di sostegno al reddito”: fornire sussidi di disoccupazione o altri programmi di sostegno al reddito può aiutare le persone disoccupate a far fronte alle difficoltà finanziarie mentre cercano lavoro.

E poi chi l’ha detto che il lavoro deve per forza crearlo qualcun altro? In un paese dove le imprese denunciano difficoltà nel passaggio generazionale o a garantire un adeguato turn over tra imprenditori e manager può avere un significato anche promuovere i giovani all’imprenditorialità: sostenere gli  imprenditori – o gli aspiranti tali – attraverso prestiti agevolati, consulenza e formazione può favorire la creazione di nuove imprese e posti di lavoro.

Ma in generale ci vorrebbe anche una maggiore capacità di analisi e orientamento degli scenari economici. E qui entra in gioco l’istituzione pubblica che potrebbe svolgere un ruolo strategico nella “riorientazione industriale”: in situazioni in cui determinati settori o industrie sono in declino, è importante promuovere la diversificazione economica e assistere i lavoratori nel trasferirsi verso settori in crescita. Ma in Italia nulla di simile sembra intravedersi.