Home NOTIZIE ATTUALITÀ Obiettivo “PKU” delle Sei Associazioni Pazienti medici e famiglie coinvolti dalla Fenilchetonuria

Obiettivo “PKU” delle Sei Associazioni Pazienti medici e famiglie coinvolti dalla Fenilchetonuria

È il primo evento nazionale, PKU&Noi, che si terrà online, visibile per tutti, gratuitamente, preregistrandosi sul sito pkuenoi.it. L’obiettivo dell’incontro è dare voce ai tanti volti della Fenilchetonuria, con testimonianze di genitori e figli, conoscere le novità terapeutiche e soddisfare curiosità sospese che attengono al vissuto quotidiano, cosa fare se si vuole fare sport, o come organizzarsi con le terapie mentre si è in viaggio, per esempio. La testimonianza di Nicolò Cardoselli (foto in copertina) ci racconta una storia da cui tutti dobbiamo “ascoltare” e abbiamo da imparare !Tra gli scopi dell’incontro sensibilizzare anche la popolazione tutta su questa patologia, che si presenta fin dalla nascita e che è caratterizzata dalla mutazione di un gene, la fenilalanina idrossilasi PAH, necessario per il metabolismo della fenilalanina Phe, un aminoacido essenziale presente in quasi tutti gli alimenti proteici. Questa è la prima ricorrenza della Giornata mondiale sulla Fenilchetonuria, malattia metabolica, rara e cronica che, nel mondo, interessa più di 50.000 persone e nella sola Italia si stima colpisca 1 bambino ogni 2.581 nati.  Il World PKU Day si celebrerà il 28 di giugno prossimo e sarà un giorno in più per far crescere la consapevolezza su questa problematica. Che ci riguarda tutti.

La testimonianza di Nicolò Cardoselli, da leggere e “ascoltare” da cui dobbiamo tutti imparare. “La chiave è l’ordine e l’atteggiamento mentale con cui affronti la vita, compresi gli imprevisti che possono naturalmente presentarsi. L’organizzazione è la base di tutto, aiuta anche ad avere un ordine mentale. Non sono diverso dagli altri, ho una diversità alimentare” 

Nicolò Cardoselli ha 30anni, è di Grosseto e si è laureato in Giurisprudenza a Siena. Gli hanno diagnosticato la PKU, la Fenilchetonuria, quando aveva 19 mesi: per un breve periodo non ha camminato. La principale cura di questa malattia metabolica rara consiste nella dietoterapia, escludendo o limitando cibi a base di proteine. Nicolò è un ragazzo curioso e socialmente attivo: nonostante le difficoltà iniziali in cui ha dovuto vedere sulla tavola della mensa scolastica un pranzo differente rispetto ai coetanei, non si è mai sentito diverso dagli altri ma si è considerato un ragazzo con una diversità alimentare. Fa parte di un’associazione di volontario, l’AMMeC, l’Associazione Malattie Metaboliche Congenite Onlus, e nel tempo libero incontra i ragazzi che come lui hanno patologie rare per offrire loro la sua esperienza di “paziente esperto”.

Sono nato nel 1990 e la diagnosi di PKU è arrivata 19 mesi dopo.

Per un periodo non ho camminato, e i medici non sapevano il perché. Alla ricerca di quel perché iniziarono indagini più approfondite, ma i primi due test fatti risultarono due falsi negativi. Quel perché arrivò più tardi, intorno ai due anni, al Meyer di Firenze: avevo la Fenilchetonuria. Oggi, fortunatamente, la PKU viene diagnosticata prima, in Toscana dal 1982, e poco dopo nato ho fatto lo screening neonatale, che è fondamentale e decisivo per iniziare una cura tempestiva per questa patologia metabolica rara, che compromette il metabolismo della fenilalanina, un amminoacido essenziale presente nella maggior parte degli alimenti contenenti proteine. 

A casa come me l’hanno comunicata? Con delle semplici spiegazioni sul fatto che io, a differenza di altri coetanei, non potevo mangiare determinati alimenti. Non ho dei ricordi specifici, ma ho ben fissato nella mente cosa mi disse mia mamma: “per rimanere un bambino sano devi seguire in modo corretto la dietoterapia”. E me la illustrò, fugandomi i dubbi di volta in volta. Ora sono molto consapevole che stare alle regole è una garanzia di una buona qualità di vita, ma quando si è bambini si rischia di sentirsi messi da parte o puniti se non si possono mangiare le stesse cose che mangiano gli altri. Alle elementari stavo pranzando con i miei compagni di scuola, ed era evidente che io avevo un pranzo diverso dagli altri. Sì, non è stato semplice, ma con il tempo non posso dire di essermi sentito escluso.

Sono molto curioso e faccio tante domande per capire sempre meglio cosa devo fare per rimanere in salute. Se sono così devo dire grazie alla mia famiglia e ai medici che mi hanno seguito e che mi seguono tuttora. Mi hanno insegnato che non sono diverso dagli altri, ma che ho una diversità alimentare. Vedo la PKU come una peculiarità, quindi, come un tratto distintivo e non come una tragedia o un limite. Nel rapporto con gli amici, crescendo, mi sono sempre premurato di spiegare loro cosa avessi, con molta chiarezza e pochi tecnicismi. Gli esempi pratici sono sempre quelli che arrivano al punto con più efficacia.

Come accoglievano gli altri questa notizia? Erano curiosi. La mia mamma, anche quando andavo ai compleanni dei miei amici, mi preparava un cestino con delle cose solo per me. A scuola, qualcuno era un po’ invidioso: a differenza del cibo della mensa il mio aveva un aspetto più invitante. Mentre alle feste, se non mettevo il cartellino con il mio nome sopra alle cose che mia mamma aveva preparato per me, rischiavo di non trovare più niente: tutti dicevano che volevano provarle, assaggiarle. Man mano cresci, invece, qualcun altro potrebbe provare a farti sentire diverso, ma con me non ci sono mai riusciti. Per fortuna ci sono persone molte empatiche, che riescono a farti sentire a tuo agio e ti mettono a disposizione tutto ciò che ti serve per passare una buona serata. A casa di amici mangio le mie cose e se si decide di andare al ristorante si sceglie, di comune accordo, un posto dove possa mangiare verdure, frutta… oppure mi organizzo diversamente. L’organizzazione è la base di tutto, aiuta anche ad avere un ordine mentale.

Quando diventi grande inizi a passare dei momenti fuori casa, e io ho imparato a preparami tutto ciò che mi serve. È un allenamento, un po’ come fare una corsa, e per continuare a proseguirlo devi conoscere i tuoi limiti e cercare di superarli. La chiave è l’ordine e l’atteggiamento mentale con cui affronti la vita, compresi gli imprevisti che possono naturalmente presentarsi. Basta portarsi dietro del pane aproteico, aiuta sempre a gestire le eventuali emergenze. Gli anni di formazione, la rigidità dei primi momenti di vita e dell’età infantile sono stati molto determinanti a far sì che io potessi diventare un adulto così organizzato.

Oggi, partecipo alla vita dell’associazione creata da mia mamma: è un cordone importante tra i malati e i medici formati nella cura di questa malattia. I ragazzi con cui parlo mi danno dei bei riscontri. E alla fine sono felici di trovare un confronto con una persona che ha già fatto il loro percorso. Faccio regolarmente gli esami al Meyer di Firenze, vado ogni due settimane a fare i prelievi come consigliato dai centri medici e dalle linee guide europee sulla PKU. Lo so, non tutti sono così precisi. Ma è quello che dovremmo fare tutti per stare bene. Ho tratto molto beneficio anche dall’ultimo incontro avuto con adulti provenienti da altre Regioni. Ho scoperto che ci sono realtà meno felici della mia e adulti con tanti interessi e pienamente realizzati. A volte, addirittura, ironizziamo su come ci sporcavamo con le formule che abbiamo bevuto e i prodotti aproteci che mangiavamo quando eravamo piccoli, non erano così buoni a dire la verità.

E se si vuole viaggiare? Esistono tante informazioni tra cui l’ESPKU, l’European Society of Phenylketonuria, la Società Europea della Phenylketonuria, un’associazione europea dedita a pazienti con PKU fondata da associazioni di pazienti e medici , con esperienza pluriennale nel settore, dove il singolo paziente può reperire informazioni fondamentali di qualunque genere e pratiche per i viaggi all’estero, secondarie ma ugualmente importanti al centro medico di riferimento, e poi, anche su Facebook si trovano indicazioni su dove possiamo essere accolti e organizzarci i pasti nel migliore dei modi. Ma il segreto di tutto, secondo me, è e rimane l’organizzazione. C’è tanto da fare ancora, ma sono fiducioso. Vorrei capire come saremo da ancora più grandi, capire cosa ci aspetterà, vorrei saperlo anche dai medici e dagli studi scientifici. È per questo che rimango curioso e che ogni occasione è buona per saperne di più. «Incontrare i ragazzi, oggi adulti affetti da Fenilchetonuria è interessante: condividere esperienze è sempre stimolante per tutti. Il mio obiettivo è avere sempre più chiaro come saremo quando gli anni sulle spalle diventeranno più di quelli che abbiamo ora, e vorrei capirlo anche dal punto di vista scientifico. Sono, infatti, attentissimo agli studi pubblicati sulla PKU. Nonostante le naturali preoccupazioni per il futuro, dal confronto posso avere prova che si può essere persone estremamente realizzate. Ed è un bellissimo messaggio di speranza che non manco di portare ai giovani che, come me, hanno la Fenilchetonuria»